Quel ramo del lago di Como 2007
di Flavio
Come si dice?
Non c’è il due senza il tre.
Saggezza popolare o evidenza scontata in una prevedibilmente lunga serie di eventi?
Comunque sia, dopo Bergamo Alta e Milano, cinque barefooters del Nord si apprestano ad esplorare con le loro suole avide di sensazioni quel “ramo del lago di Como”; e c’è una novità, ci accompagna una dama, una non barefooter simpatizzante e curiosa di conoscere il nostro piccolo universo: è la mia consorte Nancy.
L’incontro con Paolo F., Ares, Stefano e Andrea avviene alla stazione ferroviaria di Como S. Giovanni, alle ore 10:45 circa; i loro volti sono gia noti a mia moglie, che diventerà la nostra fotografa ufficiale.
Dopo le presentazioni di rito, si parte alla scoperta della città lacustre; scendiamo una breve scalinata ed un segno del destino ci coglie: una mano gigantesca si para di fronte a noi, quasi a ribadire il numero cinque e noi cinque scalzisti siamo!
Si scattano un paio di fotografie di gruppo e si riparte; asfalto, porfido e mattonelle di marmo accarezzano amorevolmente i nostri piedi nudi; è davvero una bella giornata, avanziamo tra l’indifferenza generale che Nancy nota subito: “Ma come! Non vi guarda nessuno”.
Eh, certo, la gente in realtà vede, ma si fa gli affari suoi; essere bfrs. vuol dire avere il coraggio di infischiarsene di cosa pensano gli altri, se poi questi non ci creano imbarazzo, tanto meglio.
Pieghiamo a destra e ci troviamo davanti allo splendido Duomo cittadino del 1400; ce lo gustiamo, anche perché Ares, dimostrando una competenza non comune, si improvvisa nostro cicerone.
Decidiamo di entrare; qualche dubbio ce l’abbiamo, ma non si dovrebbe calpestare un suolo sacro scalzi?
Un solerte signore (il sagrestano?) controlla il flusso ininterrotto di visitatori, ma non ci degna della sua attenzione; esploriamo, ammiriamo, dibattiamo con Ares; il sorvegliante si avvicina e ci invita ad abbassare la voce.
Entra una signora di mezza età in canottiera ed il solerte sovrintendente le si para di fronte ergendosi in tutta la sua statura (un metro e settantacinque scarsi), pare quasi un gigante di due metri ed oltre, con il braccio destro alzato, la mano chiusa a pugno ed un indice teso in segno di tremendo monito; la signora tace impietrita, lo osserva, non ha il coraggio di replicare, gira i tacchi e, con le spalle curve come per una colpa immane, esce dal tempio.
Me la rido, forse anche gli altri…….noi scalzi continuiamo indisturbati la nostra visita.
Di nuovo fuori, ci dirigiamo velocemente, dopo aver deliziato i nostri piedi con le onde del lago, verso la funicolare che ci porterà a Brunate (980 metri s.l.m.).
Passiamo accanto ad un paio di eleganti ristoranti, alcuni camerieri ci salutano invitandoci (leggo fra le righe) a consumare il pasto presso il “loro” locale; ma come! Andremmo bene anche scalzi?
Pare di sì, evidentemente basta che paghi……
Il trenino sale lungo un ripido binario e ci sbarca in un paesino davvero delizioso, come deliziosa è la temperatura dell’aria: 19 °C.
Che facciamo con questi ciotoloni, che se non affrontati correttamente martellano fastidiosamente l’arco plantare, nostro tallone d’Achille? :-) Deciso!
Ci calziamo provvisoriamente, sandali e infradito, tranne Stefano che dimostra di essere davvero avvezzo a certe superfici non urbane; eccolo là, viaggia spedito ad una certa distanza da noi, chi lo prende più?
Anche Andrea non scherza, ma avanza con più cautela.
Però, così non va; quell’infradito mi macina un po’ lo spazio interdigitale.
Ohe, Andrea, ma quanto manca al Faro? Come mezz’ora!
Un attimo di sbandamento e qualcosa serpeggia fra noi: una biscia?
No, la perfida idea di lanciare Andrea dal Faro, ma certi di essere premiati da un superbo spettacolo, schiacciamo la testa alla strisciante idea e ci lanciamo all’inseguimento di Stefano e Ares, scalzo pure lui.
Che tosto questo Ares: vogliamo essere da meno?
In cima all’erta compare una visione paradisiaca: un cartello con scritto “La Polenteria”…..uhmmm.
Io, Stefano e mia moglie, attratti da luculliana immaginazione, marciamo verso la polenteria come falene attratte dalla luce.
Ma come fa troppo caldo, è meglio qualcosa di più leggero….e vabbé.
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Obiettivo: raggiungere il Faro Voltiano, costruzione commemorativa superpanoramica.
Si sale, si sale, i nostri piedi scalzi lavorano, assaggiano cubetti rosa (sembra porfido) un po’ gibbosi, poi si giunge ad una mulattiera che ci mette in crisi.
Ormai di nuovo tutti (meno una) scalzi ci sediamo alla deliziosa ombra di un gazebo.
Scorrono le piadine ed anche fresca birra; mia moglie, abbandonata ogni residua timidezza, dialoga come se avesse sempre fatto parte del gruppo.
Ci alziamo per cercare un belvedere gentilmente indicatoci dalla signora del chiosco; dopo una furiosa lite fra Ares ed un paio di ricci di castagno da tempo in attesa di un paio di suole non troppo allenate, scattiamo qualche altra foto di gruppo; cinque ragazze si “accampano”, vicino a noi apparentemente indifferenti.
Una di loro si scalza; abbiamo tutti la sensazione che l’incontro non sia casuale.
Riprendiamo la marcia verso il Faro Voltiano, il tempo di raggiungere di nuovo il gazebo e di affrontare la breve salita verso la meta finale che ricompaiono le cinque ragazze; la più anziana (si fa per dire) di loro mi avvicina e mi chiede perché camminiamo scalzi; rispondo che lo facciamo semplicemente perché ci piace e che quando una persona come noi scopre di condividere la stessa passione con altri simili, ecco che nascono i gruppi, le associazioni e nasce il desiderio di compiere escursioni insieme.
La donna di Ragusa mi risponde che anche lei, quando era ragazzina, camminava spesso scalza; le facciamo osservare discretamente che potrebbe ricominciare e le consigliamo di consultare il nostro sito.
Le salutiamo e dopo pochi minuti siamo alla meta; siamo accolti da un bel cane festoso.
Il guardiano del faro?
Ma, no; è di una coppia di visitatori che si appresta alla discesa.
Il Faro è nostro, dieci piedi scalzi lo accarezzano, mentre i nostri occhi si nutrono di stupore puro.
Guarda Como, quella è Villa Olmo, ecco Chiasso e l’arroccato Cernobbio.
Quella lunga lingua blu sembra davvero un ritaglio di cielo incollato laggiù, graffiato da mille scie dei nostri tecnologici mostri dell’aria.
Chiacchieriamo allegramente, deliziati da una brezza tesa che ci fa dimenticare il caldo estivo; immaginiamo di realizzare una veranda da sogno.
Due o tre fotografie, cercando di immortalare anche i nostri amati piedi nudi, sono d’obbligo; non è facile, perché lo spazio è davvero limitato.
E’ ora di rientrare.
Scegliamo la strada asfaltata; è più lunga, ma ci consente di non ricalzarci più.
Marciamo velocemente verso la stazione ferroviaria; sul lungolago una signora che vende quadri ci avverte della presenza di vetri, ma noi barefooters abbiamo un colpo d’occhio inimitabile.
Io e mia moglie ci attardiamo in coda, a pochi metri dal gruppo: un paio di ragazze sedute al tavolo di un bar osservano transitare gli scalzi e commentano.
Non riesco a cogliere l’intero discorso, ma sento chiaramente le parole “scalzi a Milano”; la nostra fama cresce?
Vorremmo fare una bella fotografia di gruppo davanti ad un elegante negozio di scarpe, ma il riflesso della vetrina ci impedirebbe di scorgere l’interno; peccato, era una bella ironia.
E’ proprio il momento di lasciarci: il treno parte di li a poco, alle 19:16.
Un abbraccio ed alla prossima.
Io e Nancy ci incamminiamo verso la nostra autovettura.
Mia moglie non dimenticherà facilmente una giornata così; mi incarica di scrivere che siete persone veramente speciali e che non immaginava che si sarebbe divertita così.
A voi dico: grazie ragazzi, per la vostra deliziosa compagnia.
Ci rivedremo, spero, presto.
Orsù, dame, seguite l’esempio di mia moglie, lucidate gli scudi dei vostri cavalieri e seguiteli, qualche volta, nelle loro leggendarie imprese.
Essi, ne sono sicuro, ne saranno davvero felici e riconoscenti.