FIR_08_01 - Club dei NatiScalzi

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A Firenze
da Flavio

21-22 giugno



Prima giornata

Nel giorno più lungo dell’anno Firenze ci sorride radiosa di sole.
Siamo emozionati e desiderosi di accarezzarla nel nostro solito modo inconsueto: con i nostri piedi nudi.
L’idea era partita da quel trascinatore che è Ares: un congresso non è sempre fine a se stesso, specie se capita di sabato, ma potrebbe essere il trampolino di lancio di qualcosa di più.
Ne parliamo un po’ ed il progetto prende forma, ancora qualche dettaglio, poi il decollo definitivo.
Io, Lucina e Paolo F. partiamo da Milano Centrale. Arriviamo a Firenze nel tardo pomeriggio; siamo leggermente frastornati e preoccupati dalla calura. Per fortuna si va verso sera, ma l’asfalto dovrebbe essere molto caldo.
Facciamo qualche passo e Paolo mi fa notare che non siamo i soli ad andare scalzi; vero, c’è quel giovane magro e alto che se ne sta tranquillamente a piedi nudi.
Lo guardo bene e….. altro che avvistamento!
È Andrea77, che ci comunica la pronta disponibilità di Ares; il congresso è terminato prima del previsto, per cui potremmo lasciare i bagagli più pesanti nell’Hotel e partire immediatamente per le strade cittadine.
Caspita, un quattro stelle! Intimiditi entriamo con le infradito.
Io e mia moglie prendiamo posto nel nostro alloggio, il tempo di sistemare i bagagli e…… toc toc!
Apro e resto di sale!
Non può essere Ares, forse il direttore dell’Hotel che gli somiglia molto: completo scuro, camicia bianca e cravatta, ma non posso fare a meno di fermare il mio sguardo su quelle scarpe lucidissime.
Avessi avuto uno sgabello a portata di mano mi sarei afflosciato con la bocca aperta.
Mi giro e vedo mia moglie con gli occhi spalancati….. nooooo, non è possibile!
Ridiamo, ci scambiamo qualche battuta e ci diamo appuntamento nella hall.
Ci godiamo un poco di frescura, pochi minuti ed ecco comparire il guerriero di sempre…..scalzo!
Ci sentiamo dei fifoni, ci liberiamo delle infradito ed eccoci sulla pista di decollo.
Piccola tappa in stazione per i biglietti di ritorno e piccolo spuntino a base di ciliegie gentilmente offerte dalla ditta Lu&Lu (Lucignolo e Lucina); due poliziotti osservano la scena e se ne vanno per la loro strada.
Siamo di fronte alla Chiesa di S. Maria Novella, nell’omonima piazza; non si può entrare perché il tempio è chiuso.
Riprendiamo la marcia; una signora anziana sorride, scuote leggermente la testa e ci si avvicina:
<Prudenza, eh, ragazzi. Occhi bene aperti. Non si sa mai che non ci sia qualche ‘hiodino>
Cammino in mezzo ad una folla di persone, gustando il moderato calore che mi trasmette il suolo.
Sampietrini, lastricato, asfalto ruvido o liscio, ognuno mi dice qualcosa di diverso; dialogo piacevolmente con loro, ne assaporo le diverse sensazioni trasmesse.
Bello!
Piedi come mani, due finestre in più spalancate sul mondo.
Ci si apre Piazza della Signoria, ricca di statue e monumenti, la città comincia a mostrarsi in tutto il suo splendore. Siamo a due passi dagli Uffizi, si vede un porticato affollato di splendide statue; Andrea mi spiega che proprio su quella scalinata antistante al portico era stato villanamente respinto da un guardiano, in quanto scalzo.
Non sarebbe male riprovarci, ma Ares mi distrae proponendo una visita al Duomo ed al Battistero a pianta ottagonale. Niente da fare: siamo bloccati.
Il Duomo è chiuso (se vi verrà in mente di visitare le chiese fiorentine ricordate che alle ore 17:00 sono già chiuse), mentre il Battistero non è raggiungibile perché la strada è stata accuratamente transennata per consentire lo svolgimento di una gara podistica competitiva.
Ci consoliamo scattando qualche istantanea alle nostre suole spaventosamente nere; notiamo che l’ingresso alla Torre di Giotto è aperto……e se salissimo in cima?
I guardiani non fanno una piega per i nostri piedi, quella la facciamo noi quando ci accorgiamo che non esiste l’ascensore; un cartello, che suona quasi come una minaccia, ci avverte che i gradini da scalare sono ben 414!
Per fortuna ci sono tre piani che consentono di tirare un poco il fiato, dove Ares ne approfitta per fare un po’ di fotografie. Io e Andrea saliamo di un altro piano; il paparazzo del gruppo si avvicina e decidiamo la fuga finale.
L’ultimo pezzo mi mette a dura prova. C’è quel tratto a chiocciola che mi ricorda certe torri misteriose dei castelli medioevali, poi una lunga rampa ci porta alla terrazza.
La vista è a 360 gradi ed una brezza deliziosa ci permette di smaltire il calore accumulato durante la salita e di riprendere a respirare normalmente; che fatica, ma ne valeva la pena.
Mentre due giapponesine fissano allibite i miei piedi dalle suole nerissime, mi faccio un bel giro panoramico in totale sicurezza, perché la terrazza è totalmente “ingabbiata”.
Però che fame!
La discesa non è meno impegnativa della salita, ma, credetemi, che presa che fanno i piedi nudi!
La scala non la definirei pericolosa, ma lunga e ripida; una persona scalza la può percorrere in totale sicurezza, meglio che con sandali o infradito.
Sembra quasi di avere delle scarpette da free-climber.
Percorriamo velocemente alcuni vialetti, la stanchezza si fa sentire; percepisco quasi un’armonia di organo che cresce di intensità, forse sto perdendo i sensi.
Ma no, ecco una chiesina minore, entriamo nella sua penombra, il pavimento è gelido e l’aria è fresca.
La musica ci investe.
È un ruscello che sgocciola, ti calma, chiudi gli occhi ed un’ondata ti sommerge; il fiume ti travolge, ti trascina, ti fa girar la testa e dentro di te un fiume di emozioni ti fa sognare.
Ti abbandoni sulla panca come un barcaiolo in balia delle rapide, poi la calma, il silenzio e quel fiume che c’è in te continua a scorrere, come l’eco che rimbalza sulle pareti di una gola scavata dalle acque in piena.
Un brivido ti percorre la schiena e vorresti lasciarti andare alla commozione.
Dobbiamo andare. Troviamo un ristorantino in un vialetto: tavoli all’aperto, ma deserti.
Perché? Prezzi alti o cucina scarsa?
È tardi e decidiamo di rischiare.
Beh, via, non male, scopriremo che è un po’ caro, ma siamo a Firenze.
Io e Alessandro optiamo per la classica fiorentina al sangue che mi è sembrata deliziosa.
Sono davvero dei bei momenti: i piedi nudi giocano sotto il tavolo, sopra scorrono fiumi di parole.
Se c’è amicizia, questo è un momento clou: dialogo, vino, gioia di vivere.
Un bel limoncello conclude la cena.
Ma la notte è lunga, si va al Ponte Vecchio.
Il fiume è un gioco di luci, una luna calante gli fa l’occhiolino, un nastro d’argento, non sembra nemmeno la tigre che devastò chiese e monumenti.
Il ponte è là, imperituro ed indistruttibile.
Sulle sue sponde centinaia di coppiette tessono il loro futuro, si abbracciano e si baciano; lui, l’Arno, è tranquillo, scorre lento, cattura le loro immagini, le culla, le fa danzare e le mescola con le stelle, le porta via, lontano, con i loro sogni, lungo quel sentiero di luce tracciato dalla luna.
Strano, siamo scalzi ed i più scandalizzati sono proprio quei giovani sognanti: stranezze della vita!
Il ponte è una bolgia; è difficile perfino guardare dove si posano i nostri piedi nudi e fra noi comincia a circolare un poco di inquietudine.
Subisco un assalto laterale da parte di un marocchino che, afferrandomi per il braccio, mi vuole vendere insistentemente alcuni disegni artigianali, ma, forse, non così artigianali, perché ogni cento metri li trovate esattamente uguali.
C’è la festa delle Notti Bianche, abbiamo paura che qualche sconsiderato rompa qualche bottiglia di vetro; è molto tardi, siamo esasperati e cerchiamo una via di fuga.
Stefano non capisce a fondo le nostre intenzioni, cede di schianto e preferisce ritornare all’Hotel per la via che ritiene essere la più breve. I sopravissuti continuano la loro marcia.
Andrea77 è giunto al suo ostello e si congeda. Ah, siamo fuori.
Qualche bevanda ristoratrice e ci sediamo sui pochi gradini della Piazza S. Maria Novella.
Mentre dialoghiamo rilassati si alza un venticello fresco che è una vera delizia; i minuti passano piacevolmente, ricordando la bella giornata trascorsa insieme.
Vorremmo continuare così fino al mattino, ma un dolce torpore ci invita a rientrare alla base.
Piedi nerissimi varchiamo la soglia dell’Hotel. A domani, dunque.
Arranco per le dovute pulizie prima di gettarmi nell’abbraccio di un morbido letto.
Il buio mi ha ormai avvolto.
I pensieri si dileguano, perdono di significato.
E caddi come corpo morto cade.


Seconda giornata

La sveglia mi riporta lentamente alla realtà, mentre il sole si infiltra tenue fra i tendaggi di un’ampia finestra. Sono a Firenze, comincio a ricordare.
Hummmm! Avrei dormito volentieri almeno altre due ore, ma una nuova giornata ci aspetta.



Scendiamo puntuali nella sala colazione dove ci aspetta un Paolo piuttosto pimpante.
Da buoni fifoni continuiamo ad avere le infradito ai piedi; ci scoccerebbe davvero ricevere anche un semplice richiamo. Come sempre stento ad andare in pressione, termino una colazione tipicamente mediterranea e ricevo una telefonata.
Bene, Andrea è arrivato, ma Stefano ed Ares dove sono?
Probabilmente i pigroni si sono riaddormentati, ma quando decido che è meglio andare a dar loro la sveglia, eccoli comparire.
Caspita, Alessandro (Ares) è scalzo, fa incetta di buone cibarie come se niente fosse, passando davanti al personale alberghiero completamente indifferente; merita davvero un applauso e penso che quello sia l’atteggiamento giusto. Usciamo tutti dall’Hotel scalzi per ricalzarci precipitosamente: il sole ha arroventato talmente strade e marciapiedi da rendere impossibile la marcia a piedi nudi.
Io e Andrea cerchiamo di resistere, ma non c’è proprio nulla da fare.
Fortunatamente ci sono stretti vicoli ombrosi che ci consentono di calpestare comodi lastricati appena tiepidi.Tentiamo l’ingresso in S. Maria Novella, ma… soorpresa! Ci viene negato l’accesso e non perché scalzi, ma perché è in corso una funzione religiosa.
Non ci sembra una buona ragione e siamo piuttosto indispettiti, anche un po’ insospettiti, ma ci calma l’osservare che anche altre persone regolarmente calzate vengono decisamente respinte.
Fossimo arrivati prima, forse avremmo potuto confonderci con i fedeli che desideravano ascoltare la Santa Messa. Dobbiamo pensare ad altre mete.
Si vedono i risultati delle Notti Bianche, perché ci sono troppi vetri di bottiglia in giro, in particolare nei pressi degli incroci stradali, stranamente meno puliti dei piccoli vicoli. Bisogna, quindi, cercare di non distrarsi per evitare spiacevoli conseguenze. Visitiamo rapidamente una fresca chiesa ortodossa, prima di dirigerci verso Palazzo Pitti.
Vorremmo almeno gustarci i giardini interni, ma, vista l’ora e, soprattutto, il prezzo d’entrata ci consoliamo con un fresco pediluvio presso una fontanella poco distante.
Il fatto è che il biglietto non differenzia una visita completa da quella ai semplici giardini, mentre noi vorremmo esplorare in dettaglio Santa Croce; dobbiamo scegliere perché non siamo stati mattinieri nella nostra escursione. Riattraversiamo un Ponte Vecchio molto meno affollato e, costeggiando la Galleria degli Uffizi, ci dirigiamo verso il rinomato luogo sacro.
È un percorso un po’ più lungo, ma ombroso; le vie sono decisamente affollate, ai loro margini numerosi venditori di immagini si affaccendano in un curioso rito.
Notiamo una ronda di carabinieri che si avvicina, i venditori raccolgono rapidamente i loro fogli colorati ed in un attimo è come se non fossero mai esistiti; gli agenti passano, sono appena una decina di metri più in là e, come per incanto, il tappeto di immagini ricompare esattamente nello stesso punto di prima.
Come un’onda che si propaga nello spazio, altri venditori più lontani fanno esattamente la stessa cosa; poi la ronda inverte la marcia ed il processo si ripete in senso inverso.
Per quante decine di volte in un giorno?
Ecco Santa Croce; ci mettiamo in coda per acquistare il biglietto d’entrata.
Siamo coperti, solo Stefano è in canottiera, ma abbiamo già pronto un indumento più coprente per lui.
Agli sportelli un impiegato nota chiaramente che siamo scalzi. Mi dirigo per ultimo verso l’entrata e vedo una strana concitazione.
Porca miseria, doveva accadere prima o poi, no? Un guardiano (donna) ci blocca.
<No, così non potete entrare>
Al momento restiamo a bocca aperta: ma, come? In una chiesa non si entra scalzi?
La fila si allunga, decidiamo di far passare un po’ di gente prima di riprendere la battaglia.
Io mi trovo ai margini del gruppo, Ares appare molto determinato ed aggressivo, non perdo una parola, ma osservo attentamente le persone in arrivo. Non vedo contrarietà nei loro volti, qualcuno mi sorride, non so, forse è solo una sensazione, ma sento più solidarietà che ostilità.
<Mi faccia vedere il regolamento e non si inventi cose che non esistono. In ogni caso, se c’è una regola la si espone là, dove c’è la biglietteria. E poi avete fatto entrare persone con un abbigliamento decisamente poco rispettoso>. Arriva un ragazzo, un altro guardiano; si consultano rapidamente.
Udiamo chiaramente che le dice che secondo lui potremmo entrare, ma la ragazza si impunta indispettita:
<Così non vi posso fare entrare. Chiamo il responsabile.> Il suo atteggiamento è decisamente un errore.
Noto una ragazza che si avvicina, pancia nuda dallo stomaco alla zona pubica, con un ancheggiare conturbante……. no, non era indiana e non aveva il turbante.
La guardiana la fa passare: irrompo nel gruppo e le faccio notare la cosa: <Scusi, secondo lei quella signora sarebbe decentemente vestita? Eppure l’ha fatta entrare.> Mi liquida con un <Non possiamo far coprire tutti. > È il secondo errore. Dal gruppo parte un mormorio minaccioso.
Ares riparte deciso: <O ci fate entrare o ci rimborsate il costo del biglietto.> Arriva il responsabile delle guardie. Ci ribadisce che così non si può, ma commette il terzo errore, forse il più grave, quello che fa impuntare decisamente Alessandro, che, abbandonata l’idea del rimborso, opta per una guerra fino alla resa senza condizioni.
Il signore minaccia di chiamare i carabinieri e ci chiede se andiamo scalzi per cultura o per che altro….
<Macché cultura. Lo facciamo per piacere e per comodità. Comunque chiami pure i carabinieri, li chiami subito. Noi di qui non ci muoviamo. Poi sono Avvocato e non mi venga a raccontare storielle pensando di spaventarci>
<Guardi, lei può essere anche il Presidente della Repubblica, a me non interessa…… e se vi fate male perché siete scalzi, con chi ve la prendete? Se trovate un chiodo?>
L’ultimo errore. Parte l’arringa.
<Voi dovete fare in modo che in un luogo simile non ci siano chiodi, caro signore, perché può provocare lesioni gravi anche a chi indossa un paio di infradito od un paio di sandaletti. E non si attacchi alla storia dei piedi nudi, anzi, dovreste vergognarvi a far calpestare certe opere d’arte da quelle orribili scarpacce.>
Perdo qualche battuta, ma improvvisamente il capo delle guardie afferra i biglietti, ne stacca il classico pezzettino di convalida ed augura buona visita. Non credo alle mie orecchie.
Visitiamo la chiesa sotto la solita eruditissima guida di Ares.
Sul pavimento ci sono bassorilievi bellissimi che è davvero un peccato calpestare con certi tipi di calzature, anzi, non dovrebbero proprio essere calpestati, se non da piedi che non sudano, cioè scalzi.
Usciamo in un chiostro per scattare qualche fotografia; mi siedo nell’erba e vedo che mia moglie e Andrea parlano con il capo dei guardiani.
Penso a qualche complicazione, poi apprendo che è stato proprio lui, il capo, ad avvicinare Lucina per scusarsi del suo comportamento e di quello della ragazza di sorveglianza.
<Non vorrei che vi rimanesse un brutto ricordo della visita a S. Croce, ma non mi era mai capitata una situazione simile. E poi quel signore mi ha aggredito dicendo che è un avvocato>
Mia moglie risponde che tutto è dipeso dal suo atteggiamento e che non era proprio il caso di fermare delle persone scalze, quando erano entrate persone mezze svestite.
Il signore risponde che bisogna essere tolleranti; appunto, tolleranti anche nei nostri confronti, degli scalzi.
Il capo dei guardiani si scusa ancora e se ne va.
Proseguiamo verso settori che sono vere e proprie ali di un museo; un paio di giovani guardiani si parlano: <Questi non li faccio passare>, dice uno all’altro. Una breve comunicazione via radio che sentiamo benissimo e la strada è spianata.
È l’ora che volge al desìo, nel senso di mettersi comodamente con le gambe sotto un tavolo.
Attraversiamo (credo) Borgo dei Greci, poi vicolo dei Gondi, per sfociare in Piazza della Signoria.
La temperatura è davvero torrida, tutti si ricalzano. Sono soltanto 50 metri prima di raggiungere il nostro obiettivo, ma mi pento rapidamente di essere scalzo: il suolo sarà almeno sei milioni di gradi!
Stringo i denti e accelero il passo; Andrea compie un balzo da stambecco e sfreccia davanti a me, in cerca di una macchia d’ombra. È la fine: non ci scalzeremo più fino al momento di entrare nella stazione ferroviaria, salvo qualche sporadico momento.
Ah, quella birra irlandese, fresca e spumeggiante!
È talmente fresca ed invitante che Alessandro decide di farci il bagno, rovesciandosi addosso un bel boccalone.
È anche il momento dei ricordi e dei bilanci; siamo tutti soddisfatti, anche se storditi dalla calura opprimente. Scorrono così un paio d’ore in piacevole compagnia. Andrea77 sarà il primo a lasciarci, speriamo ne valga la pena. Apprenderemo solo più tardi l’eliminazione della nostra Nazionale.
Ora tocca a noi.
Ares ci lascia per proseguire verso Roma, per un impegno del tutto personale. La compagnia si scioglierà definitivamente a Milano Centrale.
Che splendide giornate!
Grazie ancora, ragazzi.
Alla prossima e….. garantito… non ne vedo già l’ora.


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