A Montisola
da Flavio
sabato 20 ottobre
A dire il vero si era partiti con tutt’altre ambizioni.
Visitiamo la Serenissima e la calpestiamo con i nostri piedi nudi avidi di nuove sensazioni; no, qualcosa non ingrana, perciò decido inizialmente di starmene a casa.
Andrea mi scrive e lancia una controproposta: perché non andiamo a Montisola?
Mi alletta l’idea; quand’ero bambino a volte mio padre mi diceva: “Oggi andiamo in gita a Montisola” ed era festa.
Erano tante le immagini che percorrevano la mia fantasia infantile: il lago, la breve traversata in battello od in traghetto, quella strana montagna che troneggia in mezzo all’acqua, quasi circondata da un alone di mistero, quella chiesina lassù, quasi a proteggere tutti gli abitanti della zona da un oscuro Signore del Male.
Forse non sono cresciuto molto da allora, perché l’idea di Andrea mi affascina ancora.
D’accordo.
Saliremo al santuario della Ceriola, mi scrive il simpatico barefooter; il sentiero è facile.
Sento una morsa allo stomaco; il tracciato è di circa tre chilometri, di media difficoltà e con un fondo iniziale pietroso che non promette nulla di buono. Sono soltanto 410 metri di dislivello (600–190), ma, come… a piedi nudi?
No, impossibile; comprendo improvvisamente i sentimenti di Don Abbondio mentre si avvicinava ai Bravi……. insomma, se uno il coraggio non c’e l’ha, mica se lo può dare da solo!
E quel pizzicorino al naso? Forse avrò la febbre……
E’ notte fonda e sento ancora stridore di denti e di catene: “Tornerai in barellaaaa……”.
Eh, no, basta, stop…. l’ho già sentita questa storia.
Fuori, sciò….. decido di tentare.
Ci troviamo alla stazione di Brescia alle 9:20 e ci involiamo insieme alla meta.
Siamo scalzi e penso improvvisamente a GNV; dal traghetto sbarca una barella con tanto di paziente e di volontari del 118…… un presagio!
Ci imbarchiamo, ma gli addetti al natante non ci degnano di uno sguardo………
Il tragitto è breve, approdiamo a Peschiera Maraglio dopo solo cinque minuti.
L’avventura di Monteisola (dall’omonimo comune di Monte Isola) o Montisola, come la chiamiamo di solito noi Bresciani, sta per cominciare.
Ci portiamo all’imbocco del sentiero e, dopo un paio di fotografie di rito, scattate dall’ormai affezionata Nancy (mia moglie) iniziamo a salire.
L’aspetto del sentiero è spaventoso…… dovrei passare da lì?
Appoggio i bastoncini da trekking e scelgo accuratamente gli appoggi; resto sbalordito.
I miei piedi si amalgamano alla superficie su cui si adagiano, fanno presa, mentre le dita si allargano, poi si inarcano per contribuire alla spinta dell’arto intero.
E’ un peccato non poter immortalare questo spettacolo della Natura: e queste sono le meraviglie che ho intrappolato così a lungo in quelle gallerie oscure e puzzolenti per tanti anni?
I minuti passano, si sale secondo le tabelle di marcia previste per un escursionista medio, si potrebbe fare di più, ma siamo scalzi.
Il mio timore si dilegua, cedendo il posto all’euforia; la parte più difficile è alle spalle.
Calpesto con piacere fresca erba rugiadosa, poi scrocchianti foglie secche; eccoli i temuti ricci, ma non mi sembrano una gran minaccia.
Passo fra di loro evitando i più giovani, ma Andrea mi consiglia di indossare almeno un paio di infradito; non sono convinto, ma prudentemente lo ascolto.
Raggiungiamo un gruppo di escursioniste.
Mi osservano e mi domandano stupite se sono arrivato fin li scalzo; la loro meraviglia aumenta quando spiego che abbiamo percorso il sentiero del bosco.
Perché? No, non è un voto né una scommessa, a taluni piace talmente da essere indotti a continuare al di fuori dei luoghi canonici, spiego loro.
Esiste un’ associazione italiana di cui fornisco le coordinate elettroniche; arriva Andrea, che si unisce al piacevole dialogo.
Complimenti a noi, condividono la nostra scelta (ma poi non la imitano, commenterà più tardi Andrea)….. ma, un attimo di stupore….. saluti e strette di mano…… una di loro è una collega di mia moglie.
Andrea scoppia in una risata: “Ma non dicevi, andiamo li che non mi conosce nessuno?”.
Suvvia, amico mio, non è un problema. Riprendiamo la marcia.
Ecco un altro passaggio ricco di ricci, stavolta non mi fregano; allungo il passo e compio la traversata in solitaria.
Tasto deciso il terreno, ma con la delicatezza necessaria a prendere decisioni fulminee: ecco. Una lieve puntura e la muscolatura del piede reagisce modificando l’appoggio, con un meccanismo quasi automatico che mi lascia di princisbecco. Basta non aver paura.
Tratto superato, dietro di me il silenzio.
Ah, ecco Andrea…… lui ha paura….. allora mi sono superato!
Pochi minuti e siamo al santuario: obiettivo raggiunto.
Qui la vista è a 360 gradi e domina il lago di Iseo.
Lassù è la vetta del monte Guglielmo, un bel panettone a circa 2000 metri sul livello del mare.
Chissà, Andrea, ci si potrebbe provare un giorno, non mi appare più così impossibile.
Scambiamo quattro chiacchiere con una simpatica signora che non fa che elogiare la nostra scelta di vita, insieme ad un signore più pacato, con tipico abbigliamento da montanaro.
“Predicano bene e razzolano male?”, borbotta il mio compagno d’avventura, “intanto portano gli scarponi, né toglieranno le scarpe in futuro”.
Vero, ribatto, ma è già molto raccogliere consensi.
Dopo un simpatico e frugale pranzetto in una trattoria locale (vino nostrano, salumi misti, formaggio, caffè e grappino, ahimé ero l’unico alcolista) scendiamo al piano.
Piccola deviazione alla Rocca Martinengo, bellissimo castello medioevale eretto per mantenere il controllo sulla costa bergamasca del lago.
Quanti eserciti si saranno infranti di fronte ad un arcigno castello di pietra?
Qui crolla Lucignolo, costretto inaspettatamente a percorrere un tratto pietroso di un centinaio di metri con lo smacco delle infradito; continuerò scalzo il resto del percorso degradante verso il porto, ma il mio motore è definitivamente andato.
Sono davvero felice ed appagato, ma le mie ginocchia protestano vivacemente.
Le motivazioni che mi avevano spinto fino ad allora: spente.
Provo quasi un senso di sconforto nel guardare quel lungo nastro di asfalto che ci attende; il porto è là dietro, non si vede.
Ricordo improvvisamente quelle lunghe, tormentose marce, dove ogni tanto si vede un soldato che cade e che viene lasciato li, a morire coperto di polvere.
Mi viene un po’ da ridere, meglio non fare il melodramma, tacere e mettere un piede nudo davanti all’altro.
Come va?, mi scuote Andrea.
Eh, insomma! Un po’ stanchino.
Superiamo un folto gruppo di turisti; siamo tutti e tre un po’ provati, ma pure scalzi (in due) andiamo più veloci di loro, almeno fino all’ennesimo, previsto “Come mai andate scalzi?”.
Perché….bla, bla, bla.
Ah, il porto; quella grata al momento dello sbarco nemmeno la sentivo, ora mi provoca un acuto senso di fastidio.
Vuoi vedere che……. no, nessuno dell’equipaggio ci rivolge la pur minima obbiezione per i nostri piedi nudi.
Sbarchiamo nuovamente a Sulzano.
Due ragazzine notano la nostra nudità e scoppiano in una squillante risata; due anatre del lago prorompono in un fragoroso “QUACK, QUACK, QUACK!!”.
Eh, l’importante è riconoscersi reciprocamente.
E’ finita.
Alla stazione di Brescia il compagno d’avventura si imbarca verso Milano.
Arrivederci, simpatico Andrea… e grazie.
Con te ho superato una nuova barriera.
Epilogo:
sono tranquillamente “spaparanzato” sul divano di casa, con alcuni muscoli, specie vicino alle caviglie, un po’ dolenti; inaspettatamente mia moglie mi dice che farebbe il percorso di Santiago de Compostela a piedi nudi (io e lei, la politica non c’entra, siamo esattamente come Peppone e Don Camillo).
Ecco, penso prontamente, si tratta di una crisi mistica indotta dalla stanchezza.
“Dico, sei impazzita? Senza allenamento? Vuoi rovinarti i piedi?”.
Nancy mi sorride e mi risponde candidamente: “Beh, mi allenerò”.
Oh, bella!
Non me la voglio perdere.
Ma questa sarà un’ altra storia.